La foto di Amina a seno nudo ha fatto il giro del mondo. Una ragazza tunisina di appena 18 anni si mostra così, con un messaggio tatuato sul busto: “Il mio corpo mi appartiene”.
È il 1 marzo 2013 e Amina, mettendo la sua immagine in rete, si fa portavoce del pensiero della sua generazione, dei giovani che come lei hanno partecipato attivamente alla Primavera araba: più libertà in un paese ormai in mano agli integralisti islamici.
Questo gesto le costa quasi la vita: prima viene segregata dai suoi stessi genitori, scandalizzati e timorosi che le conseguenze di un atto così eclatante si ripercuotano su tutta la famiglia; poi, dopo l’adesione al movimento delle Femen, finisce in prigione. Anche da dietro le sbarre Amina continua a battersi, in difesa delle detenute, sistematicamente percosse e angariate, e per la libertà di espressione. Ma una volta scarcerata, proprio in ragione della notorietà che la sua figura ha acquisito nel mondo, Amina non è ancora libera. Deve lasciare il suo paese, in Tunisia non le permetteranno di studiare e la famiglia teme ritorsioni.
Così si rifugia a Parigi e da lì decide finalmente di raccontare la sua storia, la storia di una ragazza divenuta simbolo della protesta contro ogni forma di dittatura militare o religiosa, e anche di un sogno infranto, quello di chi, come lei, ha sperato che la Primavera araba portasse la vera democrazia.