Un libro di culto dell’esplorazione, una delle più grandi storie di sopravvivenza e di eroismo di tutti i tempi, scritta superbamente da un leggendario avventuriero che fu una delle figure principali del periodo pionieristico delle esplorazioni antartiche.
Dal Mare di Weddell al Mare di Ross toccando il Polo Sud, 120 giorni di marcia, 3.300 chilometri con slitte trainate dai cani eschimesi, in un continente sconosciuto più vasto dell’Europa, per tentare un’impresa eccezionale mai realizzata prima. Sarebbe dovuto essere questo lo scopo della spedizione e il sogno che Sir Ernest Shackleton coltivava da anni. Ma il 20 maggio 1916 tre figure logore e cenciose, con le barbe e i capelli lunghi, il viso smagrito e ciondolanti, comparvero tra la stupore dei presenti sulla banchina della stazione baleniera di Stromness, nella Georgia del Sud, da dove due anni e mezzo prima erano partiti a bordo della Endurance insieme ad altri 25 uomini, con destinazione Antartide. Di loro si era persa ogni traccia. La nave, ritrovandosi incagliata nel pack, aveva costretto il suo equipaggio a rimanere in balia dei movimenti del ghiaccio per dieci lunghi mesi e poi era andata distrutta. Da lì l’incredibile epopea della sopravvivenza, i 498 giorni trascorsi su una banchisa alla deriva, la marcia massacrante, il viaggio in mare quando il ghiaccio si era sciolto, l’allestimento dei campi, il trasporto delle provviste, l’ingegno per trovare sempre nuovo cibo e acqua, per proteggersi dal gelo, per rimanere in salute, e infine l’impresa più grandiosa, tanto impensabile quanto disperata: navigare l’oceano peggiore del mondo per 1.200 chilometri a bordo di una scialuppa di sette metri, tra onde alte come palazzi, sferzati dal vento, dalla pioggia gelida, dalla neve e dal ghiaccio, sotto la continua minaccia notturna di affondare, temendo le orche e con turni di guardia massacranti. Alla fine, il primo attraversamento mai tentato a piedi della Georgia del Sud con i suoi picchi innevati e i ghiacciai spaventosi.