Tanti anni fa lessi 'avere o essere' di Erich Fromm. Ne rimasi colpito. Da allora avrei voluto scrivere una storia specchio di quei concetti. Nel frattempo la nostra società e il nostro modo di vivere si sono sempre più indirizzati verso l'avere, con il risultato che l'essere è divenuto, sempre più, sinonimo di noia, emarginazione, tristezza. Sarebbe stato semplice parlare della povertà come antitesi alla ricchezza. Banalmente rendere povero un uomo molto ricco. Ma l'avere e l'essere non possono essere concetti il cui significato si esaurisce all'interno di queste due condizioni umane. Queste due parole possono assumere accezioni negative o positive. A determinare questo è il contesto in cui un uomo è costretto a vivere. Ho voluto, dunque e semplicemente, parlare di mondi diversi. Ho immaginato che il personaggio vivesse in un mondo opulento dove il potere viene prima di ciò che si è, per poi ritrovarsi a vivere, in Africa, in un mondo dove l'unica differenza dall'altro sta nel proprio nome. Dove non conta ciò che si ha ma solo ciò che si è. Questo immaginare mi ha portato a comprendere che parole come ricchezza e povertà sono sostantivi che esprimono concetti molto relativi se si usano insieme all'avere e all'essere.
Questo romanzo, con molta umiltà, vuole essere una metafora che conduca altri, come ha condotto me, a riflettere sui vincoli e i limiti del mondo in cui viviamo. Sulla menzogna del crederci liberi e di quanto, questa menzogna, sia palese a tutti e nonostante questo non riusciamo a liberarcene se non per puro caso.