"Era in quella piana poco rigogliosa e stremata dal freddo e da tutto il resto, che si stagliava il casale.
Come per un gioco puerile del fato.
Un casale che si teneva in piedi contro la fisica ed il tempo, al nascosto dal mondo, in quel luogo remoto ed ostile.
Un luogo malato, ma ancora non morto, non del tutto.
Come un nascondiglio, o come l’ultima speranza.
Il riparo dal clima e dalle bestie e dalle radiazioni.
Il rifugio nascosto di quella terra desolata.
Ed era abitato.
Una striscia lieve di fumo che sbuffava dal comignolo era l’unico segno di vita in quella vecchia costruzione dispersa nel nulla di un silenzio irreale.
L’unico segno di vita in un paesaggio che si perdeva nei boschi malati di gelo e in un deserto di tundra, fino alle montagne da qualche parte all’orizzonte.
Qualcuno lo aveva abitato, qualcuno lo stava abitando e qualcun altro lo avrebbe abitato.
In qualche modo.
Erano dettagli insignificanti, quelle vite mutevoli che facevano da contorno alla pianura.
Cambiamenti infinitesimali che non sembravano pesare in alcun modo su quel posto.
Cambiamenti che arrivavano improvvisi e privi di senso.
Come quelli che marciavano, ancora a chilometri dal casale, inesorabili e minuscoli, privi di qualsiasi importanza.
Il casale resisteva per raccontare le sue storie.
Sembrava pericolante e tetro, eppure avrebbe fatto quasi specie, a vederlo ergersi ancora, dopo tutto quello che era capitato al mondo.
Come l’ultimo nascondiglio, o una fievole speranza.
Come se la speranza possa avere mai l’aspetto di una finestra sbarrata."