23 luglio 1993. Secondo la ricostruzione ufficiale quella mattina Raul Gardini, uno dei più grandi industriali italiani del dopoguerra, si sveglia presto nella sua abitazione milanese. Ha un appuntamento a cui non vuole mancare: lo aspettano i giudici del pool di Mani Pulite Antonio Di Pietro e Francesco Greco. Il «Corsaro», così era soprannominato, doveva essere sentito in merito alla maxitangente Enimont. Ma in Procura non arriverà mai. Un proiettile della sua Walther PPK calibro 7,65 gli trapassa il cervello. Per la famiglia solo un biglietto con scritto «grazie». Tutto fa pensare a un suicidio. Eppure, come aveva ripetuto ai suoi avvocati, di cose da dire ne aveva parecchie. Forse troppe. Anni di indagini non hanno stabilito con certezza che cosa sia accaduto quella mattina e a distanza di anni l’episodio rimane avvolto nel mistero. Tre giorni prima, infatti, Gabriele Cagliari, ex presidente dell’Eni e amico di Gardini, si toglie la vita in circostanze misteriose nel carcere di Opera a Milano. Anche lui è coinvolto nell’affare Enimont. Una coincidenza? Non bisogna dimenticare che tra il 1992 e il 1994 l’Italia vive una svolta epocale ancora non del tutto compresa e spiegata. Dopo la caduta del Muro di Berlino alcuni importanti accordi internazionali che coinvolgono il nostro Paese dal dopoguerra improvvisamente saltano. Si modifica radicalmente la geografia politica mondiale. Servono nuovi equilibri. Il vecchio sistema politico non garantisce un’adeguata governabilità. Servono interlocutori nuovi. La morte di Raul Gardini – l’imprenditore che con la chimica voleva conquistare il pianeta – avviene proprio in questo contesto storico. Un’altra coincidenza? L’inchiesta di Fabrizio Spagna apre scenari nuovi e consegna al pubblico aspetti inediti sulla figura di Gardini e sulle aziende del Gruppo Ferruzzi-Montedison. Un lavoro di ricostruzione che si avvale anche di alcuni documenti mai pubblicati prima d’ora.