La leggenda sportiva di Gimondi non è impolverata dal tempo, il suo modo genuino di sfidare la vita è qualcosa che affascina ancora oggi. L'autorevolezza del campione si scioglie nella saggezza dell'uomo che ha sperimentato trionfi e cadute. Gimondi ha scalato tutte le montagne più terribili ma ha dovuto spesso arretrare davanti a un uomo in carne e ossa come lui. Fiammingo, insaziabile fino alla bulimia da successo: Eddy Merckx, il fenomeno più straordinario che questo sport abbia mai prodotto. A queste pagine Gimondi non ha affidato solo il racconto delle sue imprese, che sono grandi sia da vincente sia da sconfitto. Ha riletto la storia del ciclismo del dopoguerra con la sapienza di un ultrasettantenne pieno di ricordi e di ironia. Per quanto le sue analisi siano taglienti, i giudizi netti, le parole di Felice non esondano mai nell'arroganza: la modestia, eredità della sua sana cultura contadina, non gli impedisce di essere autorevole. Ancora oggi marito, padre e nonno appagato dai suoi successi, dagli affetti e da tutto quello che ha saputo costruire in una vita senza capricci - quando parla di Merckx dice "quello lì", come se volesse mantenere le distanze. E invece lui a Eddy vuole bene, ed è ricambiato; ogni tanto i due si vedono a fanno lunghe telefonate come vecchi amici. I rimpianti resteranno, ma sono nulla rispetto alla consapevolezza di aver segnato un'epoca, spartiacque tra il ciclismo degli eroi e quello dei marziani. Da lui in poi, è stata tutta un'altra storia.