Alla vigilia dei sessant’anni, quando il più dei tuoi anni ce li hai alle spalle eppure pensi di averne ancora di buoni e vitali, Giampiero Mughini comprò la prima casa della sua vita. Nel quartiere romano di Monteverde, un quartiere che prende il nome dal colore delle cave di tufo di cui era ricco e che i romani presero a sventrare a inizio secolo quando stava crescendo vertiginosamente la popolazione della capitale d’Italia.
All’apparenza un quartiere di pace, e invece ogni mattina, quando va a comprare i giornali, Mughini passa innanzi alla palazzina tuttora intatta di viale Trastevere dove i nazi azzannarono all’alba del 16 ottobre 1943 una famiglia ebrea di cinque persone, i Sabatello, di cui nessuno tornò dai lager. Comincia dallo sguardo giornaliero a quella palazzina – e dunque dal racconto minuto per minuto e casa per casa di quanto accadde ai 1020 ebrei romani deportati ad Auschwitz – la saga della memoria contenuta in questo libro. La memoria di uno che si danna da quanto l’eco dei suoi ricordi s’è fatta maledettamente sproporzionata rispetto allo sciagurato presente che noi italiani stiamo vivendo, un presente dove imbecilli e pagliacci di ogni risma la fanno da padroni. E tanto più che la casa di Monteverde è stata pensata per fare da tempio di quella memoria, le migliaia e migliaia di libri amati e collezionati che riempiono sette stanze e che raccontano copertina per copertina la storia della cultura italiana del Novecento, le foto di giovani donne che a incontrarle oggi per strada non le riconosceresti, le lettere di chi un tempo ti era amico e che oggi ti offende magari col rifiutarsi di venire a cena. Un tempio che diventa talvolta una prigione e che è sempre un ago che punge il cuore. Su tutto una casa che fa da fortezza di quella stupefacente “avventura della carta” da cui la generazione di Mughini è stata come tatuata, un’avventura di cui oggi sono in tanti a suonare le campane a morto.