5 agosto 2010. Deserto di Atacama, Cile settentrionale. È il momento del pranzo, giù nelle gallerie della miniera di San José. La miniera rimbomba di suoni lugubri, si dice che pianga, lo fa spesso. Ma questa volta è diverso. Il suo lamento si fa minaccioso e i minatori capiscono che quello che da tempo temono si sta avverando. La miniera crolla sopra di loro. Scoppi, frane, correnti d’aria dalla forza devastante. Via, tutti al rifugio. Sono vivi. Si contano. Sono trentatré. Cercano una via d’uscita, i condotti sono ostruiti. Ci riprovano. Niente da fare. Bisogna solo sperare che da sopra qualcuno li tiri fuori. Ai minatori non resta che lottare per sopravvivere: al buio, con un caldo insopportabile e misere razioni di cibo e acqua. Aspettano, fra reciproco sostegno e reciproche incomprensioni, fra il terrore di morire lì sotto e la cieca fiducia di essere tratti in salvo. In superficie si mobilitano i soccorsi, si studiano progetti di salvataggio, parte una corsa contro il tempo per riuscire a estrarre vivi i trentatré. Fuori dalla zona delle operazioni, l’accampamento dei familiari e una selva di riflettori, videocamere, treppiedi, microfoni. Per dieci settimane gli occhi di tutto il mondo rimangono puntati su quell’angolo del pianeta fino a quel momento sconosciuto, in attesa del miracolo. In attesa di ricevere qualche segno di vita, di vedere il primo di quegli uomini spuntare dalle viscere della terra sano e salvo, di esultare quando anche l’ultimo sarà finalmente libero. Una tragedia annunciata, quella di San José, miniera fragile e insicura, dove i lavoratori erano disposti a turni massacranti per qualche pesos in più. Trentatré le storie personali intrappolate in quei tunnel, trentatré le vite sospese fra un passato estremo e il vuoto minaccioso del futuro. Storie e vite che Jonathan Franklin racconta con la partecipazione del testimone diretto e lo sguardo obiettivo del grande reporter. Jonathan Franklin, corrispondente per il Guardian, il Washington Post e il Sydney Morning Herald dal fronte della miniera cilena di San José, è stato l’unico giornalista ammesso alla zona delle operazioni di recupero e ha vissuto fianco a fianco con soccorritori, psicologi e familiari dei minatori. Dal 1995 vive a Santiago del Cile con la famiglia.