L’inferno siamo noi. Sembra essere questo il giudizio sull’uomo mai pronunciato da un Camus ormai stanco e disilluso. Pensatore oggi evocato per il suo appello a concetti come limite e misura, antidoti allo smarrimento dell’assurdo, Camus fu anche uomo dilaniato dall’impossibilità di coniugare vita e pensiero, fine sperimentatore della contraddittoria sostanza umana.
In questi saggi appare, a tratti, un Camus amaro, cinico, consciamente contraddittorio, perché profondamente convinto della duplicità umana, colpa inestirpabile. D’altronde, se l’uomo non fosse contemporaneamente e potenzialmente buono e cattivo, non si spiegherebbe la natura del male che devasta la storia.
Non più la rivolta, ma l’accettazione sembra dunque essere l’eredità del pensatore franco-algerino. Accettarsi miseri come siamo, perché solo dal basso si può contemplare il sole in alto nel cielo, e cercare, anche se impossibile, di raggiungerlo.
La vita è una commedia dove tutti devono recitare il proprio ruolo. E allora cerchiamo di recitarlo bene e provare, almeno qualche volta, a essere felici nonostante tutto.