Questo libro vuole offrire, come scrive Del Boca nell’introduzione, «una visione del Novecento e dintorni» intrecciando il racconto della vita dell’autore con gli avvenimenti di cui è stato testimone. Da questo punto di vista, esso è un’autobiografia, precisamente l’autobiografia di uno dei più importanti storici e «inviati speciali» del nostro secondo dopoguerra.
Poiché, però, nelle sue pagine accade spesso che la memoria non torni al passato con gli occhi del presente, ma si serva di reportages d’epoca, pagine di diario e appunti stesi in presa diretta, esso è anche uno di quei rari libri in cui momenti e personaggi fondamentali del Novecento vengono descritti e colti nell’istante stesso in cui rispettivamente si danno e agiscono.
Da Benito Mussolini che il 16 luglio 1944, sulla piazza d’armi di Genzevag in Germania, passa in rivista la divisione Monterosa e si presenta al cospetto dell’autore tremendamente invecchiato, pallido, con le guance scavate, l’occhio spento, la pelle cascante sotto il mento e la divisa che, senza gradi e simboli, accentua la sua aria dimessa; ad Albert Schweitzer, il «grande dottore bianco» premio Nobel per la pace che, nel luglio del 1959, nell’immensa foresta del Gabon, rotta da paludi dove tutto imputridisce, accoglie l’autore suonando all’organo il Jesu, meine Freunde, di Johann Sebastian Bach; a Madre Teresa di Calcutta che, nel maggio del 1957, piccola, magra, il viso scavato a punta, gli occhi grandi e grigi e pieghe amare intorno alla bocca, medica con dedizione e perizia i lebbrosi ospiti nella Casa del Moribondo di Kalighat; al colonnello Muammar Gheddafi che riceve l’autore con un guardaroba esemplare della sua stravaganza e civetteria: foulard color beige in testa, burnus nero e stivaletti di pelle nera lucidissimi; numerosi sono i protagonisti del secolo scorso che sfilano in queste pagine come su una quinta posta davanti ai nostri occhi.
È soprattutto, però, nella rievocazione dei momenti più intimi e personali, come ad esempio la descrizione del lungo cammino fatto dal padre ammalato, dalla stazione di Codogno alla val Luretta per chilometri e chilometri a piedi con una pesante valigia in mano, fino al distaccamento dei partigiani al Castello di Lisignano, che Del Boca ci restituisce davvero lo spirito del Novecento, così come l’ha vissuto un ragazzo nato nel ’25, diventato dapprima comandante partigiano e poi «inviato speciale» e storico che ha trascorso l’intera seconda metà del secolo a denunciare menzogne e mistificazioni, a scovare «verità scomode» negli archivi e dalla viva voce dei testimoni.
Se c’è qualcosa che i lettori, i giovani innanzi tutto, possono trarre da queste pagine, così piene di vita e di passione, è che non è affatto vero, come pretendono oggi i cantori del revisionismo storico, che nel Novecento sia naufragata, insieme con tutti i messianismi, anche ogni possibilità di schierarsi dalla parte giusta. Qui si narra di una vita che non ha fatto altro che semplicemente questo.
Il Novecento nei ricordi «del più illustre fra gli storici del colonialismo italiano».
La Repubblica
«Quasi seicento pagine per fare puntigliosamente i conti con un lungo tratto del secolo che se ne è andato. Luoghi e frammenti di mondi restituiti da Angelo Del Boca con vivacissima memoria e scrupolosa documentazione».
Supplemento de La Stampa
«Questo Il mio novecento è uno straordinario e affascinante racconto biografico, e non credo solo per i suoi coetanei».
Valentino Parlato, il Manifesto
«Pagine piene di vita e passione».
l'Adige
«Tra ricordi personali, testi inediti e articoli usciti sui diversi giornali con i quali ha collaborato come inviato speciale, il libro racconta la storia di un secolo ma anche la storia di una vita. La vita di un uomo che del Novecento è stato buon testimone, lavorando sempre, prima come romanziere e giornalista e poi come storico e docente, per raccontare agli altri avvenimenti, fatti e realtà».
Libertà di Piacenza