Nel carcere, emblema della severità della Legge, la Legge è però solo nelle mura, nell’involucro: al suo interno, i rapporti sono «regolati da leggi arcaiche o, ancora peggio, dalla legge della giungla... Il luogo dove massima è la pressione coercitiva della regola sociale è anche il luogo dove ribolle il brodo di coltura dell’antilegalità».
Lo stesso Morucci, ex Potere operaio e BR, dà la chiave per leggere queste memorie carcerarie spiazzanti e impietose, frutto dei suoi spostamenti in una decina di carceri fra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta, e incastonata nel tragico e inedito racconto della rivolta di Badu ’e Carros. Un libro che è al contempo una riflessione acuta e feroce, fra Bunker e Foucault, sulla condizione carceraria, di cui vengono raccontati gli orrori – omicidi, torture, maltrattamenti, minacce, vendette, ricatti vi sono pane quotidiano – e le assurdità, il suo essere totalmente segregata dal mondo esterno eppure dominata da versioni grottesche e distorte dei medesimi meccanismi del potere, i costumi tribali e il fantasioso lessico, la fascinazione e le incomprensioni reciproche fra detenuti politici, mafiosi come Liggio, grandi criminali come Turatello o Vallanzasca.
In una lingua personale, ambigua e altamente espressiva, adatta al paradossale tentativo di spiegare un universo irrazionale in cui nessuno può salvarsi, Morucci ci dà il suo libro migliore, un documento più autentico di tante biografie autoapologetiche e di ogni generica denuncia della barbarie carceraria.