Vittima di una svalutazione critica durata fin quasi al Novecento inoltrato, Giovan Battista Marino (Napoli 1569-1625) è autore ancora in parte da scoprire: questo libro, attraverso l’attenta analisi della vita e delle opere, si propone di riaffermarne la statura di “classico” della letteratura italiana e di principale interprete della nostra età barocca. Muovendo dagli ultimi approdi della poesia del Tasso, Marino compí un esordio d’eccezione nelle Rime del 1602, e fu poi protagonista di un articolato attraversamento dei generi, aprendo cantieri sul versante della lirica, fino alla Lira del 1614, poi della prosa sacra, inaspettata e sorprendente nelle Dicerie sacre, della poesia encomiastica, tra panegirici ed epitalami, e delle lettere. Mentre l’impegno epico veniva rimandato a ripetizione, arrivavano in porto la Sampogna, raccolta di idilli di grande sperimentazione ritmica, e soprattutto la Galeria, posta all’incrocio di una passione da collezionista e di una poesia dall’evidente matrice figurativa. Rimase in ombra, prudentemente, una produzione oscena e burlesca che dovette essere cospicua: nelle poche tessere sopravvissute, spesso apparse postume, è in luce una vena felicissima, di livello pari ai passaggi migliori delle altre opere. Di queste diverse esperienze si nutre il capolavoro, il poema Adone, pubblicato infine a Parigi nel 1623, il cui esito fluente e musicale nasce da un aggregato di materiali, cresciuto a dismisura in tempi lunghissimi, assecondando una inesausta officina di versi e una deliberata sperimentazione strutturale. La controversa parabola del Cavalier Marino viene dunque qui ripercorsa nella sua intera complessità: nelle mosse diplomatiche che guadagnarono al poeta il favore di príncipi e prelati su scala europea, e nelle scelte letterarie, tali da comporre in sintesi originalissima le infinite riprese da autori classici e moderni e le istanze di “maniera” nuova.