Un professionista dalla vita tranquilla, Ennio Paolucci, ingegnere dell'Anas, vittima di innumerevoli e interminabili processi e additato come responsabile di incidenti dovuti invece a tragiche fatalità. Un pensionato dall'esistenza irregolare, Sandro Vecchiarelli, erroneamente incriminato per la scomparsa di una giovane amica, Chiara Bariffi, nelle acque del lago di Como. Un ragazzo irreprensibile, Melchiorre Maganuco, che vive in una realtà sociale dove forte è la presenza della malavita, coinvolto in un'inchiesta per traffico di droga soltanto perché, in assoluta buona fede, aveva conoscenze e numeri di telefono "sbagliati ". Un carabiniere infiltrato, Gian Mario Doneddu, accusato di complicità con i criminali che era impegnato a sgominare. Un padre incarcerato per più di tre anni per violenze mai commesse sulla figlia e assolto con un processo di revisione solo dopo aver scontato l'intera pena. Ilaria Cavo ha sottratto all'anonimato una serie di vicende kafkiane in cui cittadini innocenti finiscono per sbaglio sul banco degli imputati con accuse talora gravissime, che sfociano di frequente, oltre che in un estenuante processo, anche in un'ingiusta detenzione. Un penoso e umiliante iter giudiziario, durato a volte moltissimi anni, prima di arrivare a una sentenza di assoluzione, ma spesso fuori tempo massimo e senza un adeguato risarcimento per il danno subito. Nelle diverse inchieste, sostiene l'autrice, si riscontrano "errori non voluti ed errori invece evitabili, errori rimediabili ed errori irreversibili", sempre e comunque tempi troppo lunghi (dai quattordici anni per alcune sentenze penali fino ai quarantaquattro impiegati per venire a capo di una causa civile). Pur riconoscendo "i tanti casi di cronaca brillantemente risolti dalle procure", Ilaria Cavo intende mettere in luce "l'altra faccia della giustizia", analizzare il "cortocircuito " che si verifica quando si entra nella spirale dell'errore. Uno sbaglio che si traduce inevitabilmente in un volto e in un nome, nel dramma di persone costrette a vivere, secondo le loro stesse parole, una vita sdoppiata, appesa alle sentenze, con il rischio di impazzire. In attesa di risvegliarsi dall'incubo.