Un libro dedicato in particolare ai nuovi spettatori del cinema di Pier Paolo Pasolini, invitati a vedere o rivedere quei film al riparo dalle vicende personali e artistiche dell'autore e dal contesto spesso feroce in cui essi presero vita. Con Pasolini, voltare indietro lo sguardo significa provare una specie di vertigine, quella di specchiarsi in un tempo immoto, un infinito presente in cui tutto è cambiato e tutto sembra invece segnare il passo. A quarant'anni dal suo assassinio, Pasolini è sempre qui, e soprattutto il suo cinema rivela intatta la sua forza, capace ancora di suscitare emozione e sorpresa. Dalla prima inquadratura di Accattone (1960) fino all'ultimo fotogramma di Salò (1975), Pasolini ha raccontato la storia del nostro paese e insieme ha fatto la critica di quella storia. Per questo motivo il suo cinema non è moderno (almeno non nel senso di Rossellini o di Renoir), è invece contemporaneo, ovvero non legato al tempo in cui si iscrive, fuori norma e fuori misura. Curioso che la critica cinematografica, nella maggioranza dei casi, abbia spesso equivocato il senso profondo del suo lavoro, utilizzando parametri di giudizio tradizionali e quindi attardandosi sulla "fertile imperfezione" dei suoi film, e perdendo di vista (o sottovalutando) l'aspetto più anomalo, ibrido, spiazzante, di un cinema che, come ha detto Patty Smith, «è stato capace di raccontare sanguinando un tempo che sanguinava».