Il libro, attraverso la filosofia di Giovanni Amendola, fornisce la chiave per capire il suo pensiero politico, che definisce la democrazia liberale moderna come fondata sul superamento del principio individualistico del liberalismo classico, e su una concezione della religione come cristianesimo filosofico e aconfessionale. La democrazia politica di Amendola aveva le sue radici nel radicalismo risorgimentale nel cui solco egli collocava il riformismo del Partito socialista al quale aderì adolescente. Attraverso l’analisi del suo pensiero e delle sue vicende politico-biografiche, come l’esperienza della guerra – che mise a nudo le sue illusioni interventiste e il suo sogno di una “Grande politica nazionale” – l’autore mette in luce la svolta in senso radicale della sua concezione della democrazia, che si fondava sulla presa d’atto della catastrofe irreversibile della classe dirigente italiana nel suo insieme. Giovanni Amendola segnò la linea di non ritorno dove finiva l’Italia liberale e laica del Risorgimento e cominciava l’Italia dei partiti di massa. Amendola deve la sua “sfortuna” storiografica, secondo l’autore, alla struttura del sistema politico italiano i cui conflitti trovano sempre una ricomposizione sulla frontiera del populismo, del consociativismo e dunque nel rifiuto della democrazia liberale europea di cui il nostro fu il massimo esponente nell’Italia contemporanea e, per molti aspetti, il fondatore.