Pier Paolo Pasolini.
L’omosessualità, la morte e le molte verità occultate.
Il brutale massacro di Pier Paolo Pasolini (2 novembre 1975) resiste tra i buchi neri della notte repubblicana. Così come l’assassinio del presidente dell’Eni Enrico Mattei nel 1962. Così come la morte di Mauro de Mauro, il giornalista siciliano ucciso dalla mafia nel 1969. Pasolini e De Mauro muoiono forse perché troppo vicini alle stesse verità scottanti: il giornalista lavorando a una sceneggiatura cinematografica; il regista inquisendo il nuovo Potere nei suoi articoli sul “Corriere della Sera” e, parallelamente, in Petrolio, l’incompiuto profetico romanzo di cui Eugenio Cefis alias Aldo Troya è inquietante protagonista. Cosa vede Pasolini? Vede trame stragiste, servizi segreti deviati… Vede la “mutazione antropologica della classe dominante” riverberarsi nel linguaggio narcotizzante della televisione (la grande scommessa P2 persa da Cefis, vinta da Berlusconi) e nell’immutata logica del nuovo Potere che ha portato alla cattiva società dei ceti progresso, delle diseguaglianze senza ascensore sociale, “in un Paese orribilmente sporco” e privo di mobilità.