"Parker e Beethoven ascoltavano il canto candido dell’esistente, ne inseguivano il movimento ritmico accarezzandone il silenzioso brusio per trasformarlo, da ultimo, nel rigoroso linguaggio di una musica assoluta".
Vi è un invito nel libro di Massimo Donà a ricordare l’origine, il tempo in cui canto e parola erano carichi di una potenza che solo il divino avrebbe potuto in qualche modo sopportare. Perché, allora, la lingua era musica, e il dire degli umani riusciva a farsi tramite di una manifestazione che, delle cose tutte, custodiva integro il carattere mitico.
Questa la musica da cui sia Ludwig van Beethoven che Charlie Parker avrebbero scelto di farsi educare, amando l’inudibile partitura della natura in cui è avvertibile il timbro di un canto sovrumano. E forse una vera musica si costituisce come prova di una perfetta innocenza, perché non ancora tradotta e forse mai traducibile in algida concettualità, non chiamata in causa da questa o quella intenzione comunicativa.
"Non servendo a nessuno, libero è il suo aereo disegnarsi, perché mai schiavo né di fini, né di ideali, né di individui, né di stati, né di partiti né di religioni". Libero, proprio come l’inutile cinguettare degli uccelli tanto amati da Charlie Parker.