Mio figlio ed io siamo andati a prenderla nella cassapanca dove l’avevamo chiusa il 5 maggio 2002: e l’abbiamo tirata fuori, più bella che mai. La nostra bandiera a scacchi neroazzurra — con cui mamma, donna di poca fede, voleva farsi una gonna — è tornata a sventolare sul balcone. Niente trionfalismi: solo una piccola celebrazione privata. Neppure questo Tripli interismi vuol essere trionfalistico. Ma è il libro della riscossa, il sigillo di un sogno. L’avevo detto e scritto: dopo Interismi (2002) e Altri interismi (2003), sarei tornato sull’argomento solo se avessimo vinto lo scudetto sul campo (l’altro, sia chiaro, è gradito: ma chi festeggia il risarcimento del danno?). Lo scudetto nel 2007 è arrivato, grazie allo stupefacente Ibra e al sorprendente Mancini, a Zanetti e a Cambiasso, a Maicon e a tutti gli altri. Il quindicesimo della serie. Il primo dopo molti — troppi — anni. Magnifi co, in quanto lungamente atteso. E strameritato: lo hanno ammesso perfi no gli avversari. Se l’Inter è una forma di allenamento alla vita, siamo allenatissimi. Nessuno potrà accusarci d’essere quelli che gli inglesi chiamano fairweather friends, “gli amici del tempo bello”. Per amore, anche in quella stagione 2006/2007, abbiamo preso pioggia, bufere e temporali (a Roma, a San Siro, a Valencia), mantenendo sempre il sorriso e l’ironia — perché il calcio è un gioco, mica una guerra.Ora possiamo goderci il successo con la coscienza tranquilla. A proposito di coscienza: Tripli interismi non festeggia solo il ritorno dello scudetto, ma anche la bella Coppa del Mondo in Germania, marcata da due dei nostri, Materazzi e Grosso; accompagnata, purtroppo, da un brutto scandalo, il peggiore nella storia del calcio italiano. Anche di questo ci occuperemo, nel libro. Senza esagerare, perché occorre esser generosi nella vittoria. Ma senza dimenticare.