I saggi contenuti in questo volume sono stati scritti nel corso di trenta anni. Da qui la tripartizione dell’indice: Anni Ottanta, Anni Novanta, Nel Duemila.
Vengono alla luce nella parte terminale del Novecento, ma sono rivolti anche al tempo precedente. In questo senso costituiscono un viaggio all’interno della storia letteraria del Novecento in compagnia della generazione di scrittori che viene qui indicata come la generazione dei nostri antenati.
La voce degli antenati, è noto, può continuare a parlarci oppure essere ignorata, e consegnata a un tempo ritenuto irrimediabilmente passato. Nati tra le due guerre mondiali, a volte nello stesso anno in cui nacque il fascismo, gli scrittori che appartengono alla generazione degli antenati «ebbero – come scrive Silvio Perrella nell’introduzione – la possibilità di essere giovani donne e uomini in un momento in cui l’Italia da monarchica diventava repubblicana e sembrava lasciarsi alle spalle il retaggio del precedente regime. Chi in un modo chi in un altro contribuì, sia pure indirettamente, a scrivere la Costituzione, che ancora oggi è considerata una delle poche leggi italiane che non siano dettate dai soliti e italici azzeccagarbugli».
Perciò rappresentano «per ragioni insieme storiche e anagrafiche l’ultima generazione dei padri e delle madri. Quelle che vennero dopo, distanziate anche di pochissimi anni, furono invece le generazioni dei figli. Figli e figli dei figli».
Le pagine di questo libro sono state scritte precisamente perché all’orecchio dei figli, e dei figli dei figli, risuonino ancora gli addii, i fischi nel buio e i cenni della generazione degli antenati. I cenni di Calvino che «vuol leggere il mondo non scritto»; di Parise che «prova a leggere la vita così com’è»; di Pasolini che «legge la mutazione antropologica degli italiani»; di Anna Maria Ortese che «legge il “corpo celeste”»; di La Capria che «legge se stesso come se fosse un altro». Emblemi di un mondo che sembra lontano, ma che, senza la sua conoscenza, può trasformarsi in «una pagina bianca deserta di segni significativi, una pagina illeggibile e triste».