A quattro anni dalla morte, Proust non è che un romanziere autopubblicato. Il suo banchiere e amico Lionel Hauser gli ha visto scialare buona parte della sua ricchezza in speculazioni disastrose e doni favolosi agli amanti. La rovina di Proust è anche però la fonte del suo successo. Si illude di ottenere un amore incondizionato in cambio di generose elargizioni, e si illude al contempo di finanziare queste elargizioni tramite ardite speculazioni di Borsa; ma ogni inevitabile fallimento, sia sentimentale che finanziario, lo ispira a scrivere un nuovo episodio di Alla ricerca del tempo perduto. Per Hauser il tempo è denaro, e Proust, che passa le giornate a letto a scrivere, è la personificazione del “tempo sprecato.” Proust la pensa diversamente, però: è al “tempo perduto,” la bussola dell’esistenza umana, che dedica il proprio romanzo. E alla lunga il “tempo perduto” gli indica la rotta giusta. Proust muore col suo patrimonio virtualmente intatto (circa € 4.500.000), un romanzo destinato a fare la fortuna degli eredi, e un amico banchiere frastornato dal potere economico della passione letteraria.