Per i romantici Amadei è il “fornaretto di Frascati”, ed è facile avvertire la tenerezza di questo appellativo ispirato al mestiere civile dell’atleta, abburattatore di pane in un forno della cittadina laziale. Per i classici, Amadei è senz’altro e addirittura, “l’ottavo re di Roma”, e precisamente Amedeo il Modesto dopo Tarquinio il Superbo. (…) Amadei, inoltre, è il caso biblico del calcio nazionale. Partito due anni fa da Roma, Roma sportiva lo considera il suo “Figliol prodigo”. Ne aspetta il ritorno con ansia paziente e con pazienza ansiosa. Tutti i vitelli delle stalle laziali vengono accuratamente allevati e nutriti nell’attesa di scegliere e di immolare il più grasso nel giorno del ritorno auspicato dell’esule Amedeo. (…)
La classe di Amadei va a lampi, non a sequenze costanti e durevoli. Raramente la sua partita è una pagina di prosa sportiva intrecciata sul telaio di un periodare forbito e uniforme. Assai spesso ha gli scatti, i trapassi, i salti di quota, gli squilibri di improvvisatore che, senza apparente legame, alterna i bianchi e i neri, i pieni e i vuoti, la veglia e il sonno, l’ombra e la luce. (…) La folla s’allarma e s’indigna di fronte alla condotta abulica di Amadei, ma proprio nel momento in cui introduce due dita in bocca per esprimere la propria opinione nei riguardi del giocatore pagato in base al suo peso alla maniera dell’Aga Khan, egli esce dal buio, s’avventa sulla palla, la governa con l’arte del giocoliere, la sottrae al controllo dell’avversario, sbuca dal groviglio dei difensori allarmati e trafelati, espugna la rete con un tiro che non perdona. Allora sì che la folla deve estrarre precipitosamente dalla bocca le due dita del fischio per aggiungerle alle altre otto e farne due mani che applaudono. (…) Lo definirei il “giocatore del risultato” per antonomasia. Non sempre il bel gioco è sulla punta delle sue scarpe, ma sempre il risultato della partita è potenzialmente contenuto nelle possibilità del suo tiro. Amadei è in campo fino al novantesimo minuto anche se per ottantanove non ha beccato palla: ha nel gioco dei muscoli e dei nervi il senso dell’agguato, e l’agguato è l’immobilità dell’aggressore, uomo o belva, che si rompe all’improvviso nell’estro e nella distensione del balzo. Ne deriva che questo giocatore all’apparenza dotato di scarsa mobilità e d’una certa gravezza fisica è, fra tutti, ricco di molle e di impulso. Non ho mai visto un animale più pigro del gatto al quale nessuno ha insegnato l’arte di arrampicarsi e di correre, e tuttavia parte da fermo con i fulmini nelle unghie: non vi pare che Amadei somigli a un grosso soriano? (…) Ad ogni modo, Amadei farà bene, qualora dovesse tornare a Roma, a prendere la carrozza e non il treno: questo per non negare ai tifosi capitolini la soddisfazione di staccargli i cavalli alle porte dell’Urbe, di portarlo in trionfo fino a piazza Colonna ed ivi imporgli la corona di “ottavo re di Roma”.
Bruno Roghi: “Specchi concavi”,
in Il Calcio Illustrato 1-6-1950