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“Io ho viste cose che voi umani non potreste immaginare: navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione, e ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia. È tempo di morire”.
Anche se con più di una variazione sul tema, l’incipit del monologo pronunciato dal replicante Ray Batty nel film Blade Runner di Ridley Scott, attribuibile allo sceneggiatore David Webb Peoples e non presente nel racconto originale di Philip K. Dick, costituisce una delle citazioni più fortunate negli ultimi trent’anni, anche da parte di chi non ha idee troppo precise sull’origine della stessa.
Al contrario di predecessori di successo del genere fantascientifico, come la saga di Star Wars e 2001: Odissea nello spazio, Blade Runner non puntava su mirabolanti effetti speciali o sulle profondità siderali dello spazio.
Il film è incentrato piuttosto sul tema della progressiva somiglianza, in un ipotetico mondo futuro, fra esseri umani e robot umanoidi, che nel 2019, anno di ambientazione della storia, è diventata molto difficile da rilevare. Il confronto sarà senza tregua.
L’autore
Piero Di Domenico (1965) è giornalista, critico cinematografico e saggista. Docente presso il Dams dell’Università di Bologna, collabora inoltre con la Cineteca di Bologna e dal 2011 con la scuola di scrittura “Bottega Finzioni” fondata da Carlo Lucarelli. Oltre al cinema, le sue competenze spaziano dal fumetto (ha lavorato per la casa editrice Coconino Press) alla storia: per Area51 Publishing cura le collane “Breve storia del Terzo Reich” e “Breve storia della prima guerra mondiale”.