Basta, non ne posso più”, disse Ermanno allon-tanando la sedia dal tavolo. “Questa non è vita, tanto vale morire subito…”
Passandosi le mani sul camice, sentì forte il bisogno di bere. Il palato, riarso per il desiderio, pregustò l’alcool che lo avrebbe soddisfatto. Si girò verso l’armadietto con l’anta che recava l’etichetta “Riservate”, ma che non riservava nulla se non, nel ripiano in basso, la bottiglia di bourbon per i momenti più brutti, come quello appunto. Un sorso, a cannella, scese nello stomaco e quasi immediatamente avvertì il senso di ebbrezza dovuto all’improvviso alcool nel sangue.
“Cosa non funziona?” si chiese, cercando razionalmente una soluzione che gli permettesse di uscire dalla situazione in cui si trovava. “Niente, solo mia madre che non sopporta la sua vedovanza, Anna, la mia ex, che non tollera che io frequenti Teresa. Questo solo per citare gli aspetti affettivo-sentimentali. Poi Mario, che ha rotto l’anima anche ieri mattina, Mario che mi cambia continuamente le specifiche del software che sto scrivendo.”
Sul monitor il listato del programma divenne una macchia anonima, le indentature persero di significato, le istruzioni delle striscioline grigie.
Gli occhi, appena striati dalla stanchezza e dall’alcool, vagarono dallo schermo alla finestra senza vedere nulla.
Lo squillo del telefono lo fece sobbalzare. Lasciò che suonasse per un po’, poi vedendo che chi chiamava non desisteva, alzò la cornetta. “Ermanno,” e, senza attendere la voce dall’altra parte, continuò “lasciatemi in pace, non voglio parlare con nessuno. Se proprio dovete, chiamate più tardi e fatemi domande facili a cui sappia rispondere, per le quali non debba pensare più di tanto.” Dall’altra par-te il silenzio; felice, riappese.
Bevve alcuni sorsi ancora, poi intuendo che nello stato in cui versava era perfettamente inutile tentare di continuare il lavoro, “Al diavolo” sbottò “questa routine che non gira, Mario e tutte le sue richieste!”.
Si tolse il camice, infilò un leggero spolverino ed uscì.
Un vento teso spazzava il cortile della palazzina in cui Ermanno abitava e al cui piano terra cui aveva ricavato lo studio. Gli aghi dei pini che recintavano l’abitazione nascondendola quasi completamente, scricchiolavano sotto le suole delle scarpe rendendo scivoloso il procedere. I pensieri si accavallavano in modo disordinato nella sua mente senza un percorso preciso lineare come avveniva normalmente.
“Cosa cì sto a fare qui? Cosa mi lega a questa gente, alle cose che mi circondano?” pensò avviandosi verso il cancello con le mani sprofondate nelle tasche. “Ho sessant’anni, non devo più lavorare, non ho nessun obbligo nei confronti di nessuno, cosa ci faccio qui?”
“Take your time” si disse. Forse la situazione non era proprio così ingarbugliata, forse era il momento non felice a rendere tutto così complicato.