Anche se l’Africa ve la siete già goduta da turisti o presunti benefattori, iniziate pure a leggere questo libro, non ve ne pentirete. Se non ci siete mai stati, meglio. È un’episodica ricognizione, non vuole spiegarvi niente, solo farvene vedere un pezzo con occhi disincantati. È una vicenda di “lavoro”. Chi scrive è un pragmatico architetto sprofondato trent’anni fa nel cuore del Congo. Come farebbe un anatomopatologo su un tavolo anatomico, lui estrae dal soggetto (congelato, nella memoria) pochi campioni che analizza con calma, confrontandoli poi con altri prelievi successivi e ottenendo risultati diagnostici sempre coerenti, purtroppo immutati. L’Africa esprime una malattia dell’animo umano, che si innesta virulenta in un organismo atavico e greve “di cui si nutre e che ucciderà uccidendosi”. È il “mal d’Africa”. Tutto ciò raccontato senza peso e tristezza, anzi, con un piacevole e sagace umorismo che attraversa l’orrore rimbalzando come un sasso lanciato con destrezza su uno stagno. “C’est L’Afrique” è la leggerezza apparente di una voluta superficialità, necessaria a non sprofondare; è il resoconto di assurdità mirabili.