Il cinema, luogo del pop corn, del tempo sprecato e dell’impossibilità di bere un drink in santa pace. È questa l’idea che Bukowski aveva della settima arte. Eppure, a ben vedere, non sono pochi i punti di contatto con il mondo del cinema. Storie di ordinaria follia, Barfly, Factotum. Tre film di rilievo realizzati da registi a loro modo importanti (Marco Ferreri, Barbet Schroeder e Bent Hamer). Il cinema si impossessa delle opere di Bukowski e le restituisce in maniera originale, seguendo un percorso che si allontana dalla fonte letteraria e si avvicina agli intenti degli autori cinematografici. I libri di Bukowski diventano così il pretesto per una nuova analisi: Ferreri amplia il tema cardine del suo cinema, il tentativo dell’uomo moderno di trovare una via d’uscita alla crisi del presente; Hamer si interessa del conflitto insanabile tra artista e sistema, mentre Schroeder si limita a filmare in modo spontaneo le gesta di un ubriacone interessato più alla bottiglia che alla scrittura. Il risultato, per tutti, sembra uno solo: l’impossibilità di riprodurre il rapporto diretto tra vita e letteratura che contraddistingue tutte le opere di Bukowski.
Michele Nardini nel 2010 si laurea all’Università di Pisa con una tesi sui fratelli Taviani e due anni dopo frequenta un Master in Comunicazione pubblica e politica. Attualmente lavora alla Scuola Superiore Sant’Anna (Pi), per la quale ha curato la creazione e la gestione di spazi web-multimediali. Collabora con La Nazione e con il sito web www.indie-eye.it.
Iscritto all’Ordine dei Giornalisti della Toscana come giornalista pubblicista, è appassionato di fotografia e ha lavorato nell’organizzazione di eventi culturali, tra cui il Festival cinematografico EuropaCinema.
Vive a Viareggio (Lu).