Lo tsunami che ha investito il ciclismo con l’indagine su Lance Armstrong è ancor più grande di quello che ha investito la politica italiana. Si sapeva che nel ciclismo, un’attività massacrante al limite della resistenza umana, correvano delle “bombe” condannate a parole, ma non vietate. Se ne parlava senza falsi pudori e anche Coppi auspicava di trovare qualcosa che lo aiutasse nelle salite.
Oggi però è arrivato uno tsunami forza 10 a radere al suolo uno degli sport più amati e più affascinanti di tutti i tempi. Ma dagli anni ’80 in poi il doping ematico, sfuggendo ai controlli, ha dilagato nel plotone dei corridori: il ricorso all’ormone della vittoria (EPO) si è generalizzato come condizione imprescindibile per trionfare. “No dope, no hope” è diventato il “verbo” dei ciclisti e del loro entourage. Sono quasi 900 i professionisti che negli ultimi trent’anni sono caduti nella rete dell’antidoping; sono 47 i vincitori del Tour trovati positivi in carriera. Numeri impressionanti. Pantani, il Pirata che regalò sogni cavalcando Alpi e Pirenei, se n’è andato per sempre con questo peso. Il mito di Armstrong, il superman che vinse il cancro e sette Tour, è finito a pezzi tra documenti e testimonianze raccolte dall’USADA, l’agenzia antidoping USA. Il processo di Madrid contro Eufemiano Fuentes, il medico-stregone dell’Operación Puerto ha gettato nel fango SuperMario Cipollini.
Un’ecatombe che questo ebook di Aldo Bernacchi, da leggere nel tempo di un telegiornale sportivo, ricostruisce con accuratezza, partecipazione e rammarico. È proprio “tutto sbagliato, tutto da rifare”, diceva Gino Bartali, il ciclista senza macchia di Ponte a Ema.