A Giorgio Petrosyan la vita ha chiesto di combattere fin da subito. Nato nell’Armenia insanguinata dalla guerra con l’Azerbaijan, per sfuggire alle violenze nel 1999 parte alla volta dell’Italia con il padre Andrei e il fratello Stepan. È l’inizio di un’odissea, dieci giorni nascosti nel rimorchio di un camion tra il freddo e la paura. Nella sua fantasia di bambino, Giorgio sarebbe voluto andare a Milano perché era lì che giocava Ronaldo, mentre suo fratello impazziva per Del Piero e avrebbe preferito Torino. L’approdo finale, invece, dopo tante porte in faccia, altro freddo e altra paura, è Gorizia. Qui Giorgio cresce votandosi anima e corpo alla kickboxing: si tiene lontano da vizi e distrazioni, sceglie la disciplina, l’allenamento duro. Sceglie di diventare un campione. Inanellando una vittoria dopo l’altra rimane imbattuto per quasi sette anni, vince i più importanti titoli mondiali e diventa un’autentica leggenda vivente delle arti marziali. Ma gli avversari di Giorgio non sono soltanto sul ring: i più pericolosi sono i demoni che si affacciano nei momenti bui, sono gli infortuni, sono le frontiere. Sì, perché fino al 2014, quando riceve dal Presidente Napolitano la cittadinanza italiana per meriti sportivi, Giorgio è un rifugiato, un senza patria, ogni combattimento internazionale è una sfida nella sfida, ogni passaggio di confine una rocambolesca, a volte tragicomica avventura. Con le mie mani è la storia di un uomo che, partito dal niente, si è arrampicato fin sul tetto del mondo. Che a forza di sacrifici, prima nella vita e poi in palestra, ha fortissimamente voluto realizzare i suoi sogni, e questi sogni ora li sta vivendo.