Ambrogio è, con Gerolamo e Agostino, il fondatore della Chiesa latina emersa, dopo Costantino, dal buio e dal sangue dell’era delle persecuzioni, assurta poi, con Teodosio al rango di unica religione ammessa nell’Impero. Arrivato a Milano con un prestigioso incarico di governo – secondo la tradizione, elevato a furor di popolo alla cattedra episcopale – trasferí nella sua funzione di vescovo il santo orgoglio che gli derivava dall’appartenere alla piú alta nobiltà dell’Urbe e impiantò con forza sul tronco dell’Impero, al posto della pax deorum che lo avrebbe eternamente protetto, la croce del Cristo.
Fu inflessibile nel combattere eretici, ebrei e pagani; impose che l’ara della vittoria fosse tolta dall’aula senatoria; umiliò perfino il grande Teodosio ricordandogli che anche l’imperatore era membro della Chiesa ma non aveva il diritto né di guidarla, né di controllarla. Senza il fondamento del suo pensiero, forse, mai si sarebbe sviluppata una teoria egemonica del papato sulla Chiesa.
Leggendo di lui, a volte ci si domanda dove fosse quella carità sulla quale peraltro ha saputo scrivere pagine bellissime. La sua grandezza fu davvero sublime e tormentosa.