In principio c’era Don Abbondio con il suo “Il coraggio, uno non se lo può dare”. Un grande personaggio illuminato nella sua neghittosa rinuncia a scegliere il bene. Gabriele Romagnoli percorre le strade del coraggio a partire dal senso caldo dell’esortazione che spesso abbiamo conosciuto nella vita: il coraggio che, da piccoli, ci sprona a camminare, pedalare, pattinare, quello che ci invita a non avere paura, o a sollevare la testa. Non si parla in questo libro del coraggio che fa di un uomo un guerriero armato o un cieco cercatore di morte (inferta o subita). Qui si parla del coraggio che la Francia del premio Carnegie dedicava “agli eroi della civiltà”. Fra questi “eroi” un Antonio Sacco che nel 1936 compie il suo atto di coraggio e poi è dimenticato, insieme alla natura di quell’atto. Per Romagnoli, Sacco A. diventa un’ossessione e solo in chiusura di libro scopriamo con lui, anzi grazie a lui, le gesta di cui fu protagonista. Ma prima di arrivare a quel giorno del 1936, Romagnoli stila un suo personale catalogo di uomini coraggiosi, come Eric Abidal, il calciatore a cui è stato diagnosticato un cancro, Elbert e Alice Hubbard nella cabina del Lusitania, il senatore Ross che guarda la sua tomba scoperchiata, o persino un personaggio letterario come Stoner, e il suo no che finisce con il segnare una vita e una carriera. Romagnoli ci accompagna in questa strada dandoci del tu, ci vuole a fianco, perché tutti si possa riconoscere l’umiltà e la bellezza di un coraggio che fa della vita una vita giusta.