Questo libro è dedicato ai bambini e agli adulti la cui salute è stata minata, più o meno irreversibilmente, da trattamenti medici.
Le vaccinazioni in età pediatrica sono una pratica medica indubbiamente utile, che può consentire la prevenzione di pericolose malattie infettive, ma i loro benefici sono direttamente proporzionali alla loro pericolosità.
Lo stesso tasso di pericolosità riguarda le emotrasfusioni e la somministrazione di emoderivati, trattamenti necessari, ad esempio, per coloro che sono portatori di malattie congenite o acquisite che richiedono periodiche trasfusioni di sangue o che devono essere sottoposti a un intervento chirurgico.
Si tratta, in ogni caso, di soggetti particolarmente vulnerabili, ai quali deve essere garantita una tutela particolarmente efficace.
In questa prospettiva, a fronte di un legislatore attento più a far quadrare i conti che non a soddisfare le richieste dei malati, la giurisprudenza ha sempre rappresentato un baluardo a difesa del diritto alla salute in caso di danni da vaccinazioni, emotrasfusioni e somministrazione di emoderivati.
Si è ritenuto opportuno, pertanto, segnalare alcune recentissime prese di posizione delle Corti più blasonate (Consulta e Cassazione) e delle corti «di frontiera» (tribunali).
Partendo dalle prime, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 107 del 24 aprile 2012, ha definitivamente riconosciuto il diritto all'indennizzo a coloro che hanno subìto danni irreversibili a seguito di vaccinazioni non obbligatorie. In particolare, la vicenda riguardava il vaccino contro il morbillo, la parotite e la rosolia.
La Consulta ha ritenuto fondata la questione sollevata dal tribunale di Ancona in un processo avviato dai genitori di una bambina la quale aveva riportato danni irreversibili dopo la somministrazione di un vaccino, poi ritirato dal commercio, contro il morbillo, la parotite e la rosolia.
Questa pronuncia conclude un percorso giurisprudenziale che era già stato avviato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 27/1998, secondo la quale l'indennizzo va riconosciuto in ogni situazione in cui il singolo subisca un danno alla salute per la tutela di un interesse collettivo, per cui differenziare il trattamento sanitario imposto per legge da quello in cui sia raccomandato dalla pubblica autorità equivale a violare il principio di ragionevolezza, perché si riserverebbe a chi è stato indotto a tenere un comportamento di utilità generale per ragioni di solidarietà sociale un trattamento deteriore rispetto a quello che vale a favore di quanti hanno agito in forza di minaccia di sanzione.
La sentenza n. 107/2012 si colloca su questa linea, precisando che, in presenza di diffuse e reiterate campagne di comunicazione a favore della pratica di vaccinazioni, com'è accaduto per quella contro il morbillo, la parotite e la rosolia, la scelta di effettuare la vaccinazione è obiettivamente finalizzata anche alla salvaguardia dell'interesse collettivo, per cui, in caso di danni permanenti causati dal vaccino, deve essere la collettività ad accollarsi l'onere del pregiudizio individuale. Sarebbe infatti irragionevole che la collettività possa imporre o sollecitare comportamenti diretti alla protezione della salute pubblica senza che poi non debba rispondere delle conseguenze pregiudizievoli per la salute di coloro che si sono uniformati tali indicazioni.
Su un altro versante si colloca, invece, una recente pronuncia della Cassazione (n. 6562 del 27-4-2012), che ha affermato, a partire dalla data di conoscenza dell'epatite B, la responsabilità delle strutture ospedaliere anche per il contagio derivante da altri virus, quali l'Hiv e l'Hcv, anche se conosciuti solo successivamente. Infatti questi virus non costituiscono eventi autonomi e diversi ma manifestazioni patogene dello stesso evento lesivo dell'integrità fisica da virus veicolati da sangue infetto. Le Sezioni Unite, del resto, con la sentenza n. 576/2008 aveva già precisato che nel contagio non sussistono tre eventi l