La pelle è il vestito corporeo del vivente, e in questo spazio al tempo stesso biologico e psichico l’estetica, l’arte, la poesia hanno scritto la storia naturale e culturale dell’essere umano. Dal mito di Marsia al martirio di San Bartolomeo, la privazione della pelle è innanzitutto la perdita dell’identità. La pelle, tuttavia, ancorché strappata spesso vive una esistenza autonoma, o addirittura “ritorna” a ricoprire il corpo sotto un altro aspetto. E così, in un rovesciamento talora sorprendente, spogliarsi dell’epidermide è – simbolicamente – preannuncio di risurrezione, garanzia di una nuova vita.
Questo ritornare alla vita e nella vita qualche volta, più concretamente, corrisponde ai ritocchi della chirurgia estetica, alla quale il desiderio della bellezza a tutti i costi affida un potere persino demiurgico.
A partire dall’esame di quei racconti esemplari considerati autentici miti di fondazione dell’estetica e delle arti, e di numerose fattispecie figurative e letterarie, nonché degli snodi principali della riflessione teorica sulla tattilità, il saggio di Francesco Paolo Campione analizza il ruolo simbolico e antropologico della pelle, da Marsia appunto fino all’arte del tatuaggio.
Ne risulta una storia dell’estetica scritta sulla superficie, che rende conto di molti aspetti del presentarsi al mondo del corpo, sotto un manto che dice molto (o tutto) di noi stessi.