«I Kisling e gli Huxley sono i veri Kisling e Huxley… Mia madre e io siamo in parte noi stesse»: così scrive Sybille Bedford nell’avvertenza a queste pagine in cui ripercorre la sua «educazione non sentimentale». Poiché ciò che preme a ogni grande scrittore non è semplicemente la vita reale, ma quella narrata e reinventata dalla parola, la vita solo «in parte» realmente vissuta, quest’avvertenza svela al lettore il vero cuore di questo libro: il rapporto tra una delle più raffinate scrittrici del Novecento, ammirata da autori come Bruce Chatwin e Stephen Spender, e sua madre.
Nata in un angolo della Germania del Sud, nel granducato del Baden, da Maximilian von Schoenebeck, aristocratico tedesco amante della Francia, e la sua seconda moglie inglese, Sybille Bedford trascorre gli anni dell’infanzia nello Schloss, il piccolo castello di famiglia, un’interminabile fuga di stanze colme di mobili e oggetti d’arte.
Il padre, un uomo avanti con l’età, vive nel ricordo di quando era «le beau Max», il giovane, attraente barone tedesco che progettava di far saltare il banco a Montecarlo e, nella sua residenza estiva, teneva una coppia di scimpanzé che ogni mattina si precipitavano a banchettare sugli alberi di pesche dei vicini.
Mossa dall’arroganza tipica dell’infanzia, la piccola «Billi» Bedford si mostra incapace di penetrare nella sua solitudine, di accostarsi al cuore di un uomo di un’altra epoca e d’altri pensieri. Sicché quando il padre muore e la madre la porta con sé nelle sue peregrinazioni attraverso l’Europa nel limbo tra le due guerre, Billi pensa di poter finalmente «contemplare con entusiasmo » il mondo.
In ogni angolo di questo mondo, però, nell’Italia incantata degli anni Venti, nella Londra nebbiosa dei Quaranta, nella Francia del Sud appena scoperta dalla cosiddetta generazione perduta, è il rapporto con la madre a occupare le sue ore e la sua mente. Bellissima, sempre divertita, lusingata, euforica e insieme disarmata e fragile dinanzi alle mere necessità della vita, sua madre conquista il prossimo con il suo aspetto e la sua conversazione, capace di attirare a sé giovani amanti e grandi scrittori, i soli uomini degni, per lei, di un «linguaggio e pensiero sofisticati».
Finalista al Booker Prize del 1989, Educazione non sentimentale è uno di quei rari libri in cui, come ha scritto il Times, si assiste alla «perfetta traduzione dell’esperienza vissuta nell’arte».
«La più sofisticata e raffinata scrittrice del XX secolo. Bruce Chatwin e Stephen Spender erano suoi ammiratori. Tra i suoi amici più intimi vi era Aldous Huxley... Sybille Bedford è una delle grandi autrici della letteratura inglese».
The Independent
«Educazione non sentimentale è un elegante affresco del limbo del vecchio continente tra le due guerre. Ma è nell'insidiosa, dominante e vagheggiata figura materna che batte il vero cuore del racconto».
Leonetta Bentivoglio, la Repubblica
«Bedford si muove qui fra documento e invenzione con una libertà e una felicità tali da rendere il libro una specie di classico, insieme fuori e dentro il tempo storico».
Mario Fortunato, l'Espresso