Le società occidentali contemporanee sono attraversate da una profonda crisi identitaria. La perdita di fiducia è un’amara novità del presente. È sufficiente constatare il moltiplicarsi delle paure e il generale senso di insicurezza che affligge la vita delle persone. Ora, l’aspetto interessante è che la sfiducia, in qualche modo, non appare in modo esplicito; o meglio, tende a mascherarsi dietro un senso di autosufficienza, vissuto come ideale di espansione della propria autonomia e libertà. Per cogliere l’ambivalenza di questa contraddizione, la categoria di narcisismo rivela la sua eccezionale portata euristica, come dimostrano le analisi sociologiche condotte da Cesareo e Vaccarini (2012). In effetti, è tipico della patologia narcisistica l’oscillazione tra concezione megalomanica del sé e senso di impotenza reale. Ma, se è vero che l’Occidente è preso nella morsa di questa contraddizione narcisistica, allora diviene urgente pensare, o ripensare, le condizioni antropologiche e politiche di un suo possibile superamento. La riflessione qui proposta, che prende le mosse dall’Alcibiade maggiore di Platone, e poi interroga il modello di Fichte, è un tentativo di risposta a tale esigenza nei termini di un approfondimento filosofico.