“C’era una volta! Così cominciano tutte le favole. La nostra non è una favola ma potrebbe sembrarlo, anche se delle favole non ha il lieto fine.”
Tutto ha inizio con mastro Tommaso Florio a metà Seicento in Calabria, a Melicuccà, e poi a Bagnara, dove il figlio Domenico e quindi il nipote Vincenzo esercitano il mestiere di fabbro. L’ascesa comincia con Paolo e Ignazio, figli di Vincenzo, sbarcati a Palermo a fine Settecento per dedicarsi al redditizio commercio delle droghe. Con Vincenzo, figlio di Paolo, la ditta si trasforma in una holding: dal commercio all’attività finanziaria, dalla pesca del tonno alla produzione vinicola e zolfifera. La svolta è legata tuttavia allo sviluppo della navigazione a vapore: i Florio, Vincenzo e il figlio Ignazio, colgono l’onda della modernizzazione e creano una grande flotta, che consente a Ignazio di collocarsi ai vertici dell’high-society internazionale. I primi segni della crisi giungono dopo la sua morte nel 1891, ma il nuovo Ignazio non sembra rendersene pienamente conto e continua a vivere nel suo mondo dorato assieme alla moglie, la bellissima donna Franca celebrata da poeti e artisti. Il risultato è la lenta dissoluzione dell’impero economico ereditato con il fratello Vincenzo, l’inventore della famosa Targa Florio, nonostante i tentativi di salvataggio operati dai vari governi italiani, da Giolitti a Mussolini. E anche i Florio, non senza loro grave responsabilità, come recita un aforisma americano a proposito di famiglie di immigrati “che iniziarono in maniche di camicia, nel corso di tre generazioni si ritrovarono in maniche di camicia”, come già gli antenati calabresi.
Orazio Cancila ricostruisce la parabola, avventurosa e romanzesca, di una delle famiglie imprenditoriali più significative della giovane vita industriale italiana, che seppe conquistare mercati e consensi in tutta Europa e che, ancora oggi, vive profondamente nel tessuto culturale, civile e paesaggistico della Sicilia.