Quando nel febbraio del 1568 il giovane esploratore Alvaro de Mendaña scoprì le isole Salomone, non poteva certo immaginare che quell’intero arcipelago sarebbe scomparso dalle mappe per oltre duecento anni.
Una volta ripartito, infatti, l’equipaggio scampò per miracolo a un uragano e, quando le acque si calmarono, non fu più possibile ricostruire la rotta. A nulla servì consultare i diari di bordo: longitudine e latitudine erano state assegnate con estrema approssimazione.
Quando trent’anni dopo Mendaña provò a ritrovare le isole scomparse, la spedizione fu un disastro: l’avventuriero perse la vita insieme a tre quarti dell’equipaggio.
A quei tempi affrontare il mare aperto, nonostante l’ausilio di bussole e carte nautiche, voleva dire esporsi a rischi terribili. È solo nel XVIII secolo, con l’invenzione del sestante, che i naviganti iniziarono a calcolare l’altezza degli astri rispetto all’orizzonte, e a stabilire quindi con precisione la latitudine del punto in cui si trovavano sulla base di un principio ottico.
Metà cannocchiale e metà astrolabio, il sestante ha condensato secoli di sviluppo tecnologico, accelerando il corso della modernità e modificando la nostra percezione dello spazio e del tempo. Dall’istituzione della Royal Society di Londra nel 1660 al problema della determinazione della longitudine; dal quadrante di Davis a John Hadley, e fino alla missione scientifica dell’Endeavour di James Cook, che nel 1768 parte con l’obiettivo di esplorare il Pacifico del sud,i protagonisti di questo racconto sono matematici, astronomi, navigatori filosofi, re e artigiani; e uno strumento misterioso, a lungo sottovalutato, senza il quale il mondo sarebbe molto diverso da come lo conosciamo.