È solo da pochi anni che per la prima volta i viaggiatori stranieri possono muoversi all’interno della Siberia senza troppi problemi. Risalendo il grande fiume Enisej fino all’Artico, attraverso le montagne che increspano la Mongolia, e poi a est verso il fiume Amur, il Pacifico e il gulag abbandonato nella Kolyma, Colin Thubron ha viaggiato sulla Transiberiana, ha navigato i fiumi, ha preso autobus e camion di passaggio, muovendosi tra i popoli che più hanno risentito del collasso del comunismo e della frantumazione dell’Unione Sovietica. Sul suo percorso ha incontrato buddisti e animisti, sette cristiane, comunisti reazionari e quello che rimane di un fumoso progetto di Stato ebraico in Asia; è stato nel luogo dove hanno assassinato l’ultimo zar, al villaggio di Rasputin, nelle tombe degli antichi sciti preservate dal ghiaccio e sulle rive del Bajkal, il lago più profondo e antico del mondo, percorrendo qualcosa come 24.000 chilometri attraverso la regione terrestre più selvaggia e più crudamente violentata dall’uomo. Vivido e appassionato, ma anche pervaso di una sottile vena di umorismo, il racconto del viaggio di Thubron è anche e soprattutto l’incontro con un popolo che, uscito a pezzi dalle rovine del comunismo, è entrato in una dimensione privata dalle forme più diverse, spesso incredibilmente strane.