Nel 1912 Giovanni Giolitti raccomandava "molta prudenza nell'aprire gli archivi del nostro Risorgimento", perché "non è bene sfatare leggende che sono belle". Comprensibile, forse, in un Paese ancora giovane e fragile. Purtroppo, per molti aspetti, il suo monito è stato preso alla lettera per un secolo intero e l'effetto si è esteso ben oltre i confini del racconto (epico) dell'Unità d'Italia. Così, pur con qualche virtuosa eccezione, la storiografia ufficiale e, per ricaduta, la divulgazione scolastica hanno spesso preferito accontentarsi di una versione edulcorata dei fatti, che nulla spiega di cosa sia poi diventato il nostro Paese. Eppure la dittatura dei poteri forti, il ricorso all'assassinio politico, gli usi impropri e deviati dei servizi segreti, la trattativa con la criminalità organizzata e altri vizi italici contemporanei hanno radici e precedenti proprio in quel pezzo del nostro passato. Proseguendo il lavoro iniziato con "1861", Giovanni Fasanella e Antonella Grippo hanno ricostruito e riscritto alcuni fra i più interessanti misteri d'Italia, lungo un arco di sessant'anni dai giorni dell'Unità, attingendo a documenti inediti, atti giudiziari mai consultati dagli storici e preziosi (nonché poco utilizzati) archivi stranieri. Dalla "morte per salasso" di Cavour alle trame oscure dietro il regicidio di Umberto I, dall'avventura coloniale in Libia voluta dai poteri economici fino alla strage del teatro Diana a Milano, la storia d'Italia rivive in un succedersi di eventi drammatici che hanno proiettato le loro ombre inquietanti fino a oggi. In un Paese come il nostro, affetto da sistematica amnesia sulla propria storia, questo libro contribuisce a demolire quella "cultura dell'indicibilità" che rende opaco il potere e accettabili le menzogne di Stato, alimenta le aree grigie in cui trovano copertura relazioni pericolose e contagia tutti noi con un'idea dagli effetti funesti: non può esistere una verità storica condivisa.