Molti mi chiedono come succedevano le cose nel campo del design negli anni ’60/70’, perché io c’ero.
Erano anni interessanti che vedevano l’Italia sviluppare e diffondere il design. Molti architetti lo scoprivano perché il mercato non offriva loro nulla che confacesse con le architetture che stavano sviluppando. A Milano nel 1947 crearono “Azucena” azienda per la produzione di mobili disegnati da alcuni di loro per potere disporre di un repertorio di arredi pronti per le case che andavano progettando. “Azucena” gli dava una mano e poi metteva in catalogo.
Altri invece erano sollecitati dagli industriali che si rendevano conto delle potenzialità che avevano in mano, ma avevano bisogno di qualcuno che gli desse forma.
Non era un paesaggio strutturato ma erano delle necessità che diventavano eccellenza. Non a caso a Milano e in Italia si era ancora molto lontani dall’avere insegnamento del design nelle istituzioni pubbliche, tutto avveniva sul campo.
Una cosa era certa, si cominciava solo allora a capire che il buon design era e poteva essere un buon affare.
Tutto questo succedeva quando, dopo il servizio militare, mi sono affacciato al mondo del progetto. Si aveva l’impressione di vivere un momento particolare, bello ed esaltante.
Poi ad un certo punto è comparsa nel mio panorama l’ergonomia, come disciplina capace di rispondere all’evoluzione della società (eravamo nel 1968), che poi in me si è evoluta quasi automaticamente nel più recente interesse al Design for All.
Perché ricordare questi tempi adesso?
“Per nostalgia?”
“Perché come si progettava allora … non si progetta più?”
No certo, ma perché la storia ha senso se ci dice da dove veniamo per sapere dove andiamo.
Molti aspetti che ho riscontrato allora, come la resistenza al cambiamento dei decisori, la tendenza del progettista a pensare che se va bene per lui va bene per tutti, la difficoltà a mettersi nei panni degli altri e di saper indagare bisogni ed esigenze, il marketing che sa leggere il passato e quindi pensa di saper predire il futuro e tanto altro, sono sempre presenti anche ora.
Spero solo che il lettore guardando indietro tragga stimolo per andare avanti.
Luigi Bandini Buti