Raccontare le radici e le conseguenze della rivoluzione keynesiana in economia, come fa Giorgio La Malfa in questo volume, significa ripercorrere in gran parte la storia concettuale della disciplina economica del Novecento, ma anche recuperare un’eredità intellettuale, culturale e soprattutto politica.
La teoria keynesiana fu tanto radicale nella sua novità che per qualche tempo i suoi contemporanei faticarono persino a comprenderne il linguaggio, ma ben presto conquistò completamente le generazioni successive di economisti, diventando una base fondamentale del canone disciplinare. Tuttavia, in questa consacrazione si nascondevano i germi del suo disconoscimento: se i concetti di Keynes erano spesso diventati il patrimonio comune di tutti gli studiosi, a partire dal secondo dopoguerra molti economisti si spostarono sempre più lontano dall’approccio keynesiano, fino ad approdare a conclusioni teoriche opposte a quelle dello studioso inglese. Si arrivò al punto che Milton Friedman, il campione del monetarismo, che predicava la necessità di impedire allo stato di intervenire nell’economia e di lasciare ai mercati la massima libertà (idee assolutamente in contrasto con quelle di Keynes), poteva dire “siamo tutti keynesiani, ormai”.
Come è stato possibile mettere Keynes nel pantheon del neoliberismo? Che conseguenze ciò ha avuto sullo sviluppo del pensiero economico? Giorgio La Malfa racconta con grande chiarezza i passaggi di questa appassionante vicenda intellettuale e mette in luce la fondamentale portata politica dell’eredità di Keynes, che va recuperata nella sua iniziale forza radicale per dare un fondamento alla differenza fra destra e sinistra – una differenza che nel mondo contemporaneo deve ritrovare la sua efficacia.