Nell’ultimo cinquantennio Joyce (1882-1941) è stato oggetto di voghe critiche momentanee che hanno enfatizzato aspetti secondari o marginali dell’arte dello scrittore, a scapito di altri piú sostanziali, perciò stesso deformando e decentrando la realtà della sua scrittura. Joyce di Franco Marucci vuole rappresentare un sano ed equilibrato “ritorno alla critica”. Dopo avere reinserito Joyce nel suo contesto di origine – la tradizione del Rinascimento civile, politico e soprattutto culturale e letterario di fine Ottocento in Irlanda – nei capitoli centrali e finali Marucci ripercorre il tirocinio poetico e delle “epifanie” e affronta meticolosamente le quattro unità narrative del corpus joyciano (piú una quinta, drammatica), sia come creazioni estetiche autonome sia come tappe di un’escalation poliglotta e polistilistica che culmina nel “banchetto dei linguaggi” di Finnegans Wake. Tra i linguaggi partecipanti a questo “banchetto” uno dei primi commensali, dopo l’inglese, è l’italiano, perché quelle cinque opere germinarono, furono scritte o chiuse durante il determinante soggiorno decennale dell’autore a Trieste, dove la sua arte e la sua lingua letteraria si arricchirono e riorientarono. Marucci dedica perciò nuove e piú approfondite ispezioni preliminari agli “scritti italiani”, critici e giornalistici, e alle traduzioni e alle autotraduzioni joyciane, tra le quali primeggia quella di Anna Livia Plurabelle da Finnegans Wake. Nato sull’onda delle celebrazioni joyciane del 2012, Joyce di Franco Marucci offre al lettore italiano una prospettiva organica e aggiornata dell’intero opus, distinguendosi per il serrato confronto dialettico con la critica piú recente e accreditata, per la ricchezza dell’informazione e per un’esposizione sempre lucida, arguta e al tempo stesso rigorosa.