Dal 1940, fino al rimpatrio nel 1946, numerosi ufficiali italiani, prigionieri di guerra degli inglesi, vennero internati nel Campo di Yol, in India. Alcuni di loro tentarono fughe impossibili; altri, con il passare degli anni, ottennero prima isolatamente, poi a gruppi meglio organizzati, di uscire sulla parola dai reticolati per scalare alcune cime himalayane.
Questo libro, che mescola finzione e realtà storica, si ispira liberamente alla storia di alcuni ufficiali: è un omaggio a quegli uomini, ai diecimila di Yol, e a coloro che seppero opporre ai reticolati del Campo il loro senso dell’amicizia, il loro slancio poetico, l’insopprimibile voglia di libertà. Il protagonista di questa storia è Pribaz, un pilota da guerra italiano fatto prigioniero dalle truppe britanniche. Costretto a far fronte alla durezza di un’esistenza che pare ormai senza scopo, giunto allo stremo delle risorse dopo un fallito tentativo di fuga, rinnega il fascismo e nelle escursioni in montagna ritrova la dimensione eroica che pensava di aver perduto per sempre. È un eroismo diverso, perché è fatica quotidiana, lenta conquista, accettazione dei limiti, sudore condiviso con i compagni, non prestazione solitaria. La commovente marcia verso il lago Tso Moriri, che chiude il romanzo, compare in una breve memoria apparsa dopo la guerra: in quelle pagine viene chiamata «la cavalcata selvaggia».