Ci sono due tipi di organisti. Quelli che misurano i programmi nota per nota e quelli che lasciano un po’ di spazio all’imprevisto. I primi, per educazione e per propria sicurezza, sanno far bene i calcoli, magari riescono brillanti, ma hanno qualcosa di grigio nel loro intimo; i secondi, mettiamo pure che sia per desiderio del nuovo degli ascoltatori, arrivano il più delle volte a stupire, rischiano l’inatteso e aprono finestre emotive. I primi vivono tranquilli, ma non sanno di pagare un prezzo molto salato: è la banalità del prevedibile, del già conosciuto, del già scritto, della rinuncia alla fantasia, alla sorpresa, allo scialo dell’anima, alla poesia. Rileggere partiture d’altri è rassicurante. Ricalcare le orme di altri vuol dire andare avanti guardando in basso per appoggiarci ben bene i piedi, nelle orme. Ma allora non si vede la meraviglia del mondo intorno e di quei doni che si colgono nell’aria gettandosi dietro a paesaggi intravisti. Dello spirito che materializza isole di bellezza. Del qui e ora che passa attraverso la sensibilità di ognuno di noi e realizza immagini di sogni. L’artista vero in qualche modo è colui che ascolta il mondo e lo riduce in note. Ma proprie note, autentiche note. Diverse, sorprendenti, certamente coraggiose, perché espressione del sé e dunque bisognose di tutto il faticoso studio per arrivare ad organizzare una materia che trabocca. Lasceremo agli esperti, come il lettore potrà trovare in questo colloquio fra esperti, di cercare la differenza fra improvvisazione, ispirazione, esecuzione; ci sono musicisti che vivono volendo di più, con la generosità e l’innocenza di chi butta il cuore oltre le cose sapendo di non sapere niente del mondo. Perché l’improvvisazione è soprattutto mettere a nudo l’anima.
Fausto Caporali
Docente di Organo e Composizione Organistica