Il presente scritto fa parte di un’opera che si svolgerà in più volumi miranti a definire le strutture fondamentali del diritto penale.Nello sviluppo della trattazione darò spazio anche alle prospettive di riforma, il cui studio non era certo privilegiato sino al recente passato, per inclinazioni metodologiche che tendevano a rappresentare soltanto la stato del diritto positivo, riservando a opere ad hoc le informazioni sul possibile futuro della disciplina (in particolare era questo l’indirizzo del c.d. metodo tecnico-giuridico); mentre la possibile o attesa trasformazione del sistema appare oggi un profilo essenziale per la comprensione dei contenuti e limiti dell’attuale normativa.Delle diverse articolazioni del sistema positivo e dell’illecito penale continueremo a parlare nei volumi che seguiranno, in questo studieremo la norma e la fattispecie penale nella loro ‘analisi statica’ e ‘dinamica’, dunque, per la disciplina che discende dai contenuti del principio di stretta legalità, della successione delle leggi penali nel tempo e dei limiti applicativi della stessa. Cercheremo in particolare di dar pieno conto delle ‘relazioni strutturali’ tra norma e fattispecie e che modificano e precisano la ‘fisionomia’ della singola norma e fattispecie presa in sé e per sé (concezione strutturale del diritto penale).Quando si parla di analisi strutturale, la mente corre subito al metodo di analisi propriamente definito dello “strutturalismo” che rappresenta ormai un’acquisizione della teoria generale della scienza essendosi diffuso dal campo della psicologia e della linguistica (nel quale ha trovato affermazione con il “Corso di linguistica generale” del De Saussure) a tutti i campi delle Geisteswissenschaften, né manca di essere preso in considerazione anche dalle scienze naturalistiche.Invece, nel mondo del diritto in generale, per quanto vi siano state opere basilari come quella del Kelsen in cui si concepisce l’ordinamento giuridico come “struttura”, ed un indirizzo consistente che ammette la validità dello strutturalismo studiandone al contempo i limiti, il metodo non sembra aver ancora trovato quella fortuna, e, prima ancora, quella consapevolezza che ha avuto negli altri campi di indagine. Sì da potersi affermare che una vera analisi strutturalistica nel mondo giuridico è rimasta ancora oggi per lo più allo stato di un desiderio.Tale affermazione può stupire dinnanzi al dato incontrovertibile che spesso il procedimento concretamente utilizzato dal giurista è proprio quello richiesto dalla analisi che si ispira (in certi limiti) al metodo strutturale; e che anzi questo, nelle sue forme più o meno raffinate, è sempre stato immanente, così come in genere nel pensiero umano, anche in quello giuridico: basti riandare con la mente alla concezione sistematica dell’ordinamen¬to seppure sotto l’aspetto di sistema esterno, vale a dire di classificazione scientifica applicata ai contenuti normativi, che trovava spazio già nei giu¬risti romani. Bisogna però tener presente la distinzione che la dottrina fa tra “analisi strutturistica” ed “analisi strutturalistica” e quindi tra “strutturistica giuridica” e “strutturalismo giuridico”, perché è solo in quest’ultimo senso “stretto” che l’analisi strutturale non ha ancora trovato fortuna nella scienza delle norme. Sul modello di quanto avviene anche in altri campi scientifici si parla di strutturistica giuridica allorché l’attività dell’operatore si limita alla semplice analisi “statica” delle strutture del diritto positivo; di analisi strutturalistica in senso stretto invece si potrebbe parlare solo come analisi “dinamica” delle leggi di trasformazione di un sistema normativo dato. Il che, se non si va errati, mentre conduce alla identificazione del-l’analisi strutturistica con quella usuale per i giuristi, porterebbe, invece, a confinare lo strutturalismo giuridico allo studio, puramente teorico, dell’analisi generale delle possibili trasformazioni dei sistemi, o, al massimo, allo studio delle