Mika Etchebéhère, una delle grandi dimenticate dalla storia, scrisse questa sua autobiografia a quarant’anni di distanza dalla guerra, nel ’76. Non fu una storica o una scrittrice bensì una combattente sul fronte aragonese insieme a suo marito Hippolyte ucciso mentre era al comando di una colonna del Poum, organizzazione anti-stalinista fondata da Andrés Nin. Priva di nozioni militari, capace a malapena di sparare, dopo la morte del marito Mika si trova suo malgrado a imbracciare il fucile, vincendo le diffidenze degli uomini e trasformandosi nell’unica donna “capitana” di una colonna militare antifranchista. Le prime pagine del libro testimoniano l’impreparazione generale di fronte al colpo di Stato ma anche il coraggio con cui la popolazione reagisce. La guerra di Spagna fu infatti la prova generale della Seconda guerra mondiale, ma anche la dimostrazione delle potenzialità di un popolo che si autorganizza per lottare in armi per una società migliore e della viltà dei governi "democratici" europei che optarono invece per il "non intervento". Solo l’Urss staliniana sembrò disposta a fornire un aiuto ai miliziani, ma ben presto scatenò la propria violenza contro le forze più radicali della rivoluzione. L’autrice ha vissuto quella storia da dentro ma la racconta da vera scrittrice: ci fa rivivere le trincee, l’avvicendarsi di tensioni e di pause, di discussioni politiche e sofferenze, di paure e speranze, in un racconto tanto epico quanto doloroso e frantumato, ricco di contraddizioni perché vero. Una rievocazione bruciante, fitta di episodi e di figure memorabili di cui non a caso ritroviamo riferimenti diretti e indiretti nel film di Ken Loach Terra e Libertà.«La “guapa” Mika venuta da fuori guarda e riflette, guarda e registra con una memoria di ferro e con la libertà della scrittrice di vaglia, e ci restituisce a distanza volti e parole, stracci e macerie, rumori e silenzi, asprezze e dolcezze, dubbi e fiducie, conflitti col nemico e conflitti interni alla propria parte, agli amici. Da grande scrittrice oltre che da memorialista. Ha vissuto quel che racconta e quando ricostruisce la sua esperienza di combattente con dovizie di particolari, se pure qualcosa vi aggiungesse si tratta della conseguenza di un vissuto così forte, così unico, da risultarle indimenticabile: se c’è del verosimile è per precisare il vero, è fatto di vero. E le emozioni che il lettore ne ricava non sono il frutto di una mistificazione ma di un’adesione: mai, in nessun momento, dubitiamo della sincerità della narratrice, e sempre, in ogni momento, sentiamo il suo calore e la sua passione». Goffredo Fofi