Ho già avuto modo di ricordare quanto sia grande il debito dei penalisti della mia generazione, quella degli anni ’20 per intenderci, nei confronti di tre maestri che hanno attraversato tutto il secolo scorso nel susseguirsi di eventi epocali, di legislazioni sottoposte a mutazioni di fondo, anche se spesso frutto di svolte interpretative, conservando, questi maestri, intatta coerenza di metodo. Francesco Antolisei, Giacomo Delitala, Biagio Petrocelli scrutano il sistema penale preoccupati di non allontanarsi dalla traccia metodologica che conferisce unità e senso alla loro opera. Per Antolisei e Delitala si tratta dell’analisi affilata e sorvegliatissima del fatto penalmente rilevante: non a caso Delitala intitola il suo lavoro di diritto penale sostanziale più significativo Il “fatto’’ nella teoria generale del reato. E Antolisei, più analiticamente, ci descriverà in un work in progress affascinante L’azione e l’evento nel reato, L’offesa e il danno nel reato, Il rapporto di causalità nel diritto penale. Seguirà il monumentale trattato, vera e propria anatomia di quel corpo che è l’insieme delle regole penali di un certo paese in un certo momento. Diverso, perfettamente conciliabile, però, con quello degli altri due maestri, l’approccio di Biagio Petrocelli. Certo non è mai perso di vista il regolato, ma prima viene la regola e la sua struttura. Che, per Petrocelli, è quella dell’imperativo. Mi sono trovato in questo crocevia e ho tentato una rotta che non escludesse nessuna delle due visuali. Solo che dai primissimi esordi ho opposto alla rappresentazione della regola quale imperativo, quella del giudizio di valore. Kelsen docet: e così è stato per me per lunghissimo tempo. E non è che quanto a descrizione della struttura della regola abbia cambiato idea. Ma non riuscivo a dimenticare le parole che il prof. Petrocelli, presidente della commissione che mi conferì la libera docenza in diritto penale (gli altri due commissari erano Giuliano Vassalli ed Aldo Moro), ebbe a rivolgermi nel corso della discussione sui titoli, che era faccenda piuttosto seria ed impegnativa: «Gallo – mi disse il prof. Petrocelli – io costruisco sulla regola, lei sull’eccezione». Da grande studioso pienamente affermato a giovanissimo apprendista, da gran signore meridionale svevo – pensate, per il fisico e per il tratto di estrema cortesia, ad Erich von Stroheim ne «La grande illusione». C’è voluto molto tempo, ma, alla fine, sono riuscito a capire il senso di quel monito. Prof. Petrocelli, allora le risposi in modo scolastico e presuntuoso: l’interpretazione può lasciare spazi non coperti, la teoria generale no. Lei replicò con un sorriso divertito e indulgente. Adesso credo di sapere che lei aveva ragione. Questo volumetto è il grazie che le dovevo. A questo punto un pensiero riconoscente alla dott.ssa Valentina Brigandì, all’avv. Andrea Zannier e alla validissima segretaria signora Maria Defeudis, che mi hanno accompagnato nella rivisitazione di testi ai quali i miei occhi non mi permettono di accostarmi direttamente. E, naturalmente, ai valorosi amici che ho assillato con le mie prove d’autore: per tutti e in primo luogo, Nereo Battello e Gaetano Insolera. Gli sbagli sono tutti miei, quanto di buono o almeno di accettabile c’è in questo libricino è merito loro.