Svago principe dell’infanzia, prima passione,diretta e indiretta, attiva e passiva, della fanciullezza, raro legame fra il giovane e il mondo degli adulti nell’età delle inquietudini, genere fondamentale, a tutte le età, nell’ambito della fruizione televisiva, pratica salutare e ludica durante la maturità, legame che sopravvive al mondo dell’infanzia, stammtisch virtuale per individui che null’altro che il tifo, la passione sportiva, hanno in comune, ma anche opportunità di socializzazione, di successo, di affermazione sociale, di lucro facile attraverso le scommesse; lo sport è, con l’amore, la principale occupazione dell’uomo quando l’uomo non è occupato; la sua presenza diffusa, da molti avvertita oggi come invasiva, ne ha favorito l’ascesa al rango di grande allegoria del mondo. Ad innestare questo processo, avviandone la globalizzazione organizzativa e la formattazione tecnico-competitiva, è stato 120 anni fa Pierre de Fredy, Barone de Coubertin, che da zelatore delle valenze educative dell’attività sportiva seppe trasformarsi in artefice del primo organismo di governo sovranazionale della storia, il CIO, in teorico della competizione pacifica, in impresario capace di realizzare, con i moderni giochi olimpici, il primo “format” postmoderno destinato ad innumerevoli imitazioni e felicemente prossimo alla sua trentesima stagione. Partendo dalla condizione aurorale vissuta dallo sport alla fine dell’ottocento, il libro segue l’evoluzione del progetto di rifondare i Giochi Olimpici, le tappe attraverso le quali, definendone il palinsesto, de Coubertin ha contribuito a determinare cosa fosse destinato a diventare, nel senso comune, “sport” e cosa invece dovesse restare puro gioco. Un viaggio a metà strada fra tecnica sportiva e antropologia, per ricostruire quei processi che hanno portato lo sport a divenire passione e linguaggio universali, tanto da sostituire la guerra come metafora prevalente dell’azione umana.