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Traduzione scenica e appendice critica di Benedetto Marzullo
Aristofane è un’onda fluida, generosa, invadente di riso: ma anche di attonita, sommessa pietà. Nelle sue commedie c’è malinconia, tanto più aguzza quanto sfrenato è lo sfogo: c’è un rifiuto del mondo, fragoroso, violento, offensivo. C’è la progressiva, struggente scoperta di una vitale radice, personale ma inalienabile: estremo rifugio e risorsa dell’uomo. Producendo esplosioni insaziabili di comicità, Aristofane spazia sovrano: dallo sberleffo all’ironia, dalla deformazione implacabile all’umorismo, aggressivo ma estroso, inventivo, più spesso infine autoconsolatorio. È un instancabile produttore di satira politica, sociale, personale. Malinconicamente, registra ogni contraddizione della commedia umana, la risarcisce con dolente, spesso lirico sorriso.
Aristofane
(445-388 a.C.?), sommo poeta della commedia greca, fu autore di quarantuno opere, undici a noi pervenute. Il testo qui ripubblicato fu insignito del «Premio Viareggio 1968» e coronato da lusinghiero successo: più volte ristampato e costantemente rivisto e migliorato, rende giustizia con “verbale” perizia all’originale greco, sconciato da una millenaria tradizione, e si avvale di una “traduzione” che ha sopperito all’assenza dello “spettacolo”, sua primaria identità.