«Hai mai sistemato una bambina?»
Siamo in un villaggio di contadini nel cuore di una regione poverissima lungo il Fiume Giallo, in Cina. Siamo ai giorni nostri, ma in quella zona remota il tempo sembra essere immobile da secoli.
«Hai mai sistemato una bambina?» chiede insistente una contadina del villaggio alla giornalista Xinran, durante un'intervista. La giovane sposa di campagna sa bene che è suo dovere dare alla luce un maschio, ed è convinta che ogni donna, come lei, quando mette al mondo una femmina sappia altrettanto bene cosa fare: deve trovare il modo di «sistemare» la bambina, di sbarazzarsi di lei. Deve, suo malgrado, abbandonarla.
L'abbandono delle bambine appena nate era, ed è tuttora, una pratica tristemente diffusa in Cina, e non solo nelle zone rurali - dove da sempre il lavoro agricolo e un antico sistema di attribuzione delle terre favorisce le famiglie con figli maschi -, ma anche nel resto del paese, complici le ristrettezze economiche e una legge sulla pianificazione delle nascite che per anni ha imposto a ogni famiglia un figlio solo. Alle bambine più fortunate il destino ha riservato l'amorevole accoglienza di una famiglia adottiva in un paese occidentale. Per molte altre nascere femmina ha significato essere brutalmente uccise appena venute al mondo.
Grazie a un lavoro di ricerca e di inchiesta durato anni, Xinran dà finalmente voce al silenzioso dolore delle donne cinesi - contadine, studentesse, impiegate - che hanno abbandonato le proprie neonate sulla strada di una città, fuori da un ospedale o da un orfanotrofio o sulla banchina di una stazione, offrendoci uno spaccato della Cina odierna per molti aspetti inedito, e al tempo stesso narrandoci una storia fatta di drammi e di speranze ritrovate, una storia capace di lasciare il segno.