La cucina giapponese - a differenza di quella italiana - potrebbe definirsi come un insieme di tecniche di "preparazione" piuttosto che di "trasformazione": gli ingredienti devono anticipare nell'aspetto il piacere del palato e rimanere il più possibile integri anche nel corso dell'elaborazione. Anche nel numero il rigore è la regola: mai più di tre raccomanda la saggezza popolare. Quanti visiteranno la mostra "L'estetica del sapore. Un'arte giapponese" si avventureranno in un percorso affascinante in cui il bello contende la palma al buono e dove la "bellezza" del piatto è una componente essenziale della sua "bontà" e viceversa. In questo senso si comprende la cura dei particolari che va ben oltre la pietanza, dalla scelta delle stoviglie al luogo in cui il pasto si consuma.
But Japanese cuisine - unlike Italian cuisine - could be defined as a set of techniques on "preparing" food as opposed to "transforming" it: through their appearance, the ingredients have to preannounce the pleasure of the palate and remain as integral as possible even during their elaboration. There are strict rules in numbers, too: it is popular credence that there should never be more than three. Visitors to the exhibition entitled "The Aesthetics of Taste. A Japanese Art" will embark on a fascinating journey, in which that which is beautiful rivals with that which is good, and the "beauty" of a dish is an essential component of its "goodness" and vice-versa. If we consider this, it is easier for us to appreciate the attention for detail that goes well beyond the dish, from the choice of the crockery to the place where the meal is consumed.
Coordinamento a cura di Salvatore e Iko Damiani.