Prefazione di Emiliano Liuzzi
Ma sì, è la vita che finisce, ma lui non ci pensò poi tanto, anzi si sentiva già felice e ricominciò il suo canto.
Sceso da Bologna a Roma all’inizio degli anni Sessanta per suonare il clarinetto in un rinomato gruppo jazz, Lucio Dalla segue una traiettoria musicale in apparenza priva di logica: convinto da Gino Paoli a presentarsi come cantante, si butta nella mischia della canzonetta rimbalzando tra festival e Cantagiri, fino a trovare la strada giusta con 4/3/1943 e Piazza Grande. Dopo i primi successi inverte la rotta, puntando sulla canzone politica insieme al poeta Roberto Roversi: sono gli anni dei dischi densi e difficili, apprezzati dal pubblico “impegnato” ma lontani dalle vendite milionarie. Poi, Lucio comincia a scriversi da solo le sue canzoni, e diventa il Lucio Dalla che tutta l’Italia conosce e ama: un cantante capace nel corso degli anni di passare con la stessa naturalezza da L’anno che verrà a Caruso e di scippare il tormentone Attenti al lupo all’amico Ron per farne un successo enorme. Ma Lucio Dalla è stato anche regista teatrale, showman televisivo, attore cinematografico e personaggio pubblico che si è schierato a sinistra senza mai rinunciare alla fede cattolica. Entrare in contraddizione con se stesso non è mai stato un problema; restare immobile sì. La sua scomparsa, avvenuta il primo marzo 2012, è probabilmente solo un incidente di percorso: è possibile che Dalla stia allestendo un musical milionario da qualche parte. O che stia suonando il clarinetto in compagnia di un jazzista in qualche bettola malmessa. Paolo Giovanazzi, da esperto giornalista musicale, ne ripercorre la storia e le tappe della maturazione artistica, attraverso gli aneddoti più curiosi e le voci delle persone che gli sono state vicine (Roberto Costa, Ricky Portera, Giovanni Pezzoli). Da quando era un ragazzino esuberante fino alla sua dolorosa scomparsa.